“L’assemblea nazionale di AiSDeT è un momento di incontro importante che, tra i tanti obiettivi, si propone, anche di sviluppare e sollecitare una maggiore attenzione verso le regioni del sud Italia che scontano, da anni, un forte gap rispetto quelle del nord” dichiara la direttrice Loredana Luzzi, Direttrice generale Università di Brescia.
“Osserviamo ancora un gap che negli anni però si sta cominciando a colmare, come testimoniato da importanti progetti, come quelli avviati, ad esempio, dalla Regione Puglia, che hanno introdotto l’utilizzo sistematico di soluzioni di telemedicina per l’erogazione delle prestazioni sanitarie anche prima che l’emergenza pandemica ne mostrasse l’urgenza”. Proprio l’emergenza pandemica – continua Luzzi – ha dato una forte spinta alla messa a sistema delle tante soluzioni innovative e progettualità a livello nazionale, che ancora purtroppo mostrano l’inefficienza di un sistema eccessivamente frammentato. L’intero SSN, se nei primi momenti dell’emergenza ha mostrato una sorta di “impreparazione”, ha però presto saputo reagire e riorganizzarsi mostrando grande capacità di risposta, anche grazie alla tecnologia, accelerando l’adozione su larga scala di soluzioni progettuali che sono finalmente uscite dalla fase sperimentale.
Gli ultimi mesi hanno visto una forte accelerazione sul fronte delle tecnologie applicate all’ambito medico, ma non va sottovalutato l’impatto a livello organizzativo e normativo, particolarmente importante in un contesto come quello italiano. Nel corso del 2020 diverse regioni infatti, hanno adottato delibere o ordinanze che finalmente mettono a sistema soluzioni di telemedicina e hanno contribuito in maniera determinante alla stipula dell’accoro Stato-Regioni del dicembre 2020, che mette a regime l’erogazione delle televisite definendone tutti i requisiti, soprattutto di tipo organizzativo” – aggiunge Luzzi, che anticipa e sottolinea la necessità di non sprecare le ingenti risorse riservate al settore dal PNRR.
Dobbiamo evitare che i fondi finiscano, paradossalmente, per “irrigidire” l’organizzazione del SSN tra centri di primo, secondo e terzo livello e altre strutture territoriali, la cui effettiva presenza è ancora elemento di grande differenza tra regioni.
Il nuovo modello di salute e di sanità pubblica deve invece trovare un motore nella nuova organizzazione del personale, nella valorizzazione di nuovi modelli di assistenza anche domiciliare, stimolando la costruzione di Reti e partenariati che consentano di superare le tante differenze territoriali. Sarebbe interessante e necessario – conclude Luzzi – prendere esempio da quanto sta avvenendo per altri settori, come quello dell’Università e della Ricerca, per il quale sono state date linee guida affinchè il sistema si possa preparare alla gestione coordinata dei fondi in arrivo”.